Tese la mano, lo toccò

Leggiamo Mc 1.40-45: Gesù guarisce un lebbroso, gli impone poi il silenzio, ma quello trasgredisce il comando. Il racconto parallelo è in Mt 8,1-4 e in Lc 5,12-16.

1. Lo voglio, sii purificato!. «40Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». 41Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». 42E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato» (Mc 1,1,40-42).

Lo status sociale del lebbroso era assai pesante. «Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: “Impuro! Impuro!”. 46Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento» (Lv 13,45-46). Tuttavia, si riteneva possibile la guarigione. Gesù pranzerà «nella casa di Simone il lebbroso» (Mc 14,3), cioè da uno che era stato lebbroso.

«Lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Il lebbroso assume un atteggiamento di profonda implorazione: chiede inginocchiato e in modo tale da poter portare la fronte fino a terra; usa un parlare estremamente rispettoso: «se vuoi» (ei théleis), se ti piace, se lo desideri, la possibilità proprio non ti manca. Quanta fiducia, quanta certezza è nell’animo di questo individuo! – «puoi purificarmi!». Sì, “purificare” (katharízô), perché la lebbra rendeva il malato legalmente impuro (cf Lv c. 13).

«Ne ebbe compassione», è il verbo che rimanda alle viscere materne: la situazione e il comportamento del lebbroso hanno raggiungo in pieno il cuore di Cristo. – «tese la mano, lo toccò». Questo comportamento di affetto e di esaudimento avrà fatto inorridire i benpensanti che assistevano al fatto: toccare un lebbroso equivaleva a rendersi impuro come il lebbroso stesso! – «Lo voglio, sii purificato!». Bastano due sole parole: thélô, katharístheti, identiche anche in Matteo e Luca. – «E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato». E’ risanato, è restituito alla comunione con Dio, rientra nella vita sociale.

Non sottovalutiamo il significato di questo miracolo! Il re di Aram scrive al re d’Israele per raccomandargli Naamàn, suo primo ministro colpito dalla lebbra. «Orbene, insieme con questa lettera ho mandato da te Naamàn, mio ministro, perché tu lo liberi dalla sua lebbra». Ebbene, «7Letta la lettera, il re d’Israele si stracciò le vesti dicendo: “Sono forse Dio per dare la morte o la vita, perché costui mi ordini di liberare un uomo dalla sua lebbra?”» (2 Re 5,6-7). In breve: vincere la lebbra era come vincere la morte! 2. Non dir niente a nessuno. «43E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito 44e gli disse: Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro”» (Mc 1,43-44).

Allo spirito impuro che parlava mediante l’ossesso Gesù aveva comandato: «Taci! Esci da lui!» (1,25). Non spettava a una potenza demoniaca proclamare l’identità di Gesù. Nel nostro testo Gesù comanda, con estrema severità, «di non dire niente a nessuno»; badiamo alla duplice negazione: medenì medèn: a nessuno, niente. Perché? Sul comando di silenzio in Marco – è presente anche in Mt e Lc! – si è detto fin troppo. «Nel tempo de li dèi falsi e bugiardi» (Dante, Inferno 1,72) era molto facile fabbricarne ancora un altro dio da collocare nell’affollato e fatuo panteon greco-romano. Per questo Gesù voleva che la sua identità fosse proclamata in modo progressivo, man mano che si faceva strada nella mente degli uditori la peculiarità della sua parola e della sua opera. Non voleva proprio che il mito e la favola sfigurassero la sua persona e la sua opera. – «va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri….». Il guarito doveva adempiere precise formalità (Lv 13,49; 14,2-4) che ne attestava la guarigione e la riammissione nella società

3. «Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte» (Mc 1,45). Come valutare questo comportamento disobbediente? Forse il lebbroso, dopo una tale esperienza, non fu in grado di controllare la spinta che gli veniva dal di dentro. Forse, meglio, Marco ingrandisce la predicazione del lebbroso – si mise a proclamare e a divulgare – per farlo diventare, nella comunità apostolica, un caso di esemplare nell’annuncio del Vangelo. Usa, tra l’altro, il verbo kerýssô che usa anche per il compito dell’annuncio da parte dei Dodici: «per mandarli a predicare (kerýssô)» (3,14).

Conclusione. Cristo ci “purifica” dalla lebbra del peccato, perdonandoci: «Se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica [katharízô] da ogni peccato» (1Gv 1,7)

G. Crocetti sss